Questa mattina presso la Casa del Cinema a Roma si è svolta l’attesissima conferenza stampa del film “This must be the place”, ultima fatica del regista partenopeo Paolo Sorrentino, presente in sala insieme al co-sceneggiatore Umberto Contarello e alla rappresentanza produttiva e distributiva nelle persone di Carlo Rossella per Medusa, Nicola Giuliano per Indigo Film ed a Andrea Occhipinti per Lucky Red.
Quanto David Byrne, presente in un piccolo ruolo nel film, e i suoi lavori registici hanno influenzato le tue scelte?
Sorrentino: “Prima di rispondere ci tengo a precisare che questo film è a tutti gli effetti un film italiano, ed è stato venduto in tutto il mondo con la sola esclusione della Cina. Questo non per vantarmi, ma per ricordare come il nostro cinema può essere esportato all’estero. Riguardo Byrne, il suo lavoro da regista mi piace moltissimo, e dato che il mio è un film che si muove su una base fatta da numerosissimi riferimenti cinematografici e letterari, può essere che vi siano degli agganci. L’analogia è possibile ma non volontaria. Sicuramente, invece, c’è stata una dittatura musicale sua nei miei confronti.”
Il personaggio di Cheyenne, interpretato da Sean Penn, è più annoiato o depresso?
Sorrentino: “Direi che è entrambe le cose ma l’elemento che ci guidava, nella sua caratterizzazione, era che lui fosse un inevitabile portatore di gioia.”
Contarello: “Questo personaggio sta in quella zona grigia tra una noia prolungata e un’avvisaglia di malinconia che potrebbe diventare depressione in senso clinico.”
Com’è stato lavorare con un attore del calibro di Sean Penn, e quale è stato il suo contributo al personaggio?
Sorrentino:“Il lavoro svolto con Penn ricalca in linea di massima quello che ho fatto in precedenza con altri attori. La variante è che vedendolo lavorare ti accorgi che lui è davvero in grado di fare tutto, il che è una caratteristica non comune. In sceneggiatura il personaggio era già molto definito, ma Sean ha comunque portato moltissimo, grazie alla sua capacità di mettere negli interstizi di una sceneggiatura quello che in sceneggiatura non si può mettere. La voce in falsetto è stata una sua idea e per quanto riguarda il modo di camminare lui stesso lo definiva come quello dei ricchi che si sentono in colpa di esser diventati tali.”
Nel film si affrontano numerosi temi: dall’Olocausto, alla solitudine, ai rapporti irrisolti fra genitori e figli.
Sorrentino: “Da spettatore non mi piacciono i film che battono ripetutamente su un solo tema, su un solo messaggio, mi piace che un film di carne al fuoco ne metta tanta, quindi per me e per noi c’erano molteplici elementi di interesse: l’assenza di un rapporto affettivo tra un padre e un figlio, lo sfondo storico dell’Olocausto con molta umiltà e con lo sguardo di un uomo di oggi. Per fare ciò ho diviso il film in due parti, due segmenti diversi che convivono nello stesso film.”
Questo è anche un film su una delle più grandi tragedie del Novecento.
Sorrentino: “Sarebbe presuntuoso da parte mia dire che è un film sull’Olocausto. È un film che si muove su quello sfondo e che racconta anche cose relative a quel momento. Ma lo fa in maniera non completa, come è giusto che sia. Dal mio punto di vista si tratta del più grande ventaglio di osservazione sul comportamento umano e delle sue possibili degenerazioni.
Serena Guidoni